CHIACCHIERE DA UN OMBRELLONE AD UN ALTRO SU FANO JAZZ BY THE SEA

Cronaca di un appassionato di jazz in vacanza a Fano 

Arrivo all’ombrellone F41 da un giro in bicicletta per liberarmi di qualche commissione mattutina, trentaquattro gradi e non ho neppure il costume, rimarrò vestita, ma cerco ostinatamente un po’ d’aria. A casa niente condizionatore, il panico in questi giorni. Mi guadagno l’ombra e apro l’ultimo libro di Carrère, finalmente. 

Non riesco a scendere tra le pagine c’è qualcosa che me lo impedisce, uno sguardo, viene da F39. Mi giro, lo vedo, sorrido e saluto. Ricambia con fare garbato e inizia: mi chiede se sono nell’organizzazione di Fano Jazz By The Sea, ieri mi ha visto con la maglietta dello staff aggirarmi tra i palchi e il Green Jazz Village. Non ero sicuro fosse lei, dice. Mi affretto a spiegare che sono solo una volontaria, per non prendermi dei facili meriti non miei, scrivo qualcosa per il festival ma principalmente mi godo a mia volta il programma come uno spettatore privilegiato. 

Mi racconta che è stato alla Pinacoteca San Domenico il giorno prima a vedere il documentario sul grande Fela Kuti, gli sorridono gli occhi e le labbra, molto interessante dice, Exodus “Gli echi della migrazione” è una magnifica rassegna. Ma gli anni passati i musicisti si esibivano anche alla Chiesa San Francesco, la preferivo confessa, ma capisco che ci saranno dei motivi tecnici dietro e che non si può fare altrimenti. Si risponde da solo quasi a non voler sporcare qualcosa che ama profondamente.  

Lo ascolto parlare – il Festival lo conosco bene -, e questo mi era già parso palese, lo frequenta da sei anni, viene a Fano regolarmente. Alloggia sempre nello stesso hotel, me lo indica. E rimarrà qualche giorno in più in città, non mi dispiace dice, affascinato dalla vitalità culturale, dalla pulizia e dall’ordine, ho poi scoperto essere un referente di Legambiente di Cremona (l’occhio va dove è allenato appoggiarsi). Ci tiene a congratularsi per lo stato di salute della nostra città, manco fossi la sindaca, che è stato in altri anni a Pesaro, a Senigallia ad Ancona, splendida città dice, ma Fano… lo sa che è la terza città delle Marche e non fa nemmeno provincia? Rispondo che Pesaro e Urbino sono presenze importanti con cui dividere un territorio relativamente piccolo, la prima sarà Capitale della Cultura 2024 e la seconda vanta un Ateneo storico quello della “Carlo Bo”. Ringrazio in ogni caso, è sempre un piacere che altre persone si sentano benvenute. Dice che non sa cos’è, forse i marchigiani in generale forse la vicina Romagna, ma qui le persone sono gentili e se chiedi qualcosa non solo ti rispondono ma ti accompagnano. Ah l’umanità quanto ancora può fare e non ha costi da mettere a budget, penso. 

Ritorna a parlare di Fano Jazz By The Sea: sono andato in molti festival sa, ne ho visti in 67 anni, ma questo è quello a cui non voglio mancare, torno sempre. Perché la direzione artistica è attenta a quello che succede nel Jazz a livello mondiale e fa delle proposte che non trovi dalle altre parti. Qua scopri della musica. Penso alla persona che c’è dietro, Adriano Pedini e a quel sottotitolo dell’edizione 2023 “Il piacere della scoperta” che ha tanto voluto e sorrido pensando che ce l’ha fatta, è avvenuta. Penso anche che potrebbe seriamente dare a Pier Luigi, così si chiama ma tutti lo conoscono come Gigi, la cittadinanza onoraria. Dice che a suo parere l’edizione dell’anno scorso era la migliore, sensazionale nel programma. Io annuisco dispiaciuta e imbarazzata di non avergli prestato abbastanza attenzione, pur avendola in casa. 

Mi parla di Stanley Clarke, continuando a sfogliare nella sua testa il programma di Fano Jazz By The Sea, una leggenda della musica dice, un modo di fare jazz tutto basato sulla tecnica, perfetta. Anche se nella nuova formazione che propone, i 4ever, non mi convince… manca qualcosa sul palco (li ascolterò il giorno dopo e devo dire che si è decisamente sbagliato, tranne sulla tecnica). Parte declinando a memoria le formazioni che nel tempo hanno accompagnato Clarke sui palchi di tutto il mondo – acquisizioni, defezioni e alterazioni, a quanto pare una storia burrascosa -, con la precisione chirurgica con cui, in Italia, siamo abituati a trattare le squadre di calcio. Non ne conosco nemmeno mezzo di questi egregi signori ma rimango ad ascoltare, assottigliando gli occhi come se bastasse a trattenerne i nomi. Manco a dirlo, non è bastato. 

Continua raccontandomi che ha già visto, nelle edizioni precedenti, Mariasole De Pascali e che è contento che ritorni, sa non ho mai sentito suonare il flauto in quella maniera. Impressionante! Dice che è venuto per Seun Kuti, visibilmente affascinato e in trepida attesa di sabato 29 luglio. Che andrà a vedere anche Donny McCaslin il sassofonista dell’ultimo album di David Bowie, “Black Star”. E che ha i biglietti in tasca anche per il trio scozzese Fergurs McCreadie, non è il mio genere ma sono curioso di vedere cosa si inventano. Sicuramente ha annusato qualcosa che è nel suo gusto e quella sera gli darà un nome. 

All’improvviso mi chiede di me, se può darmi del Tu, accetto di buon grado, dico che sono una redattrice editoriale in un momento di cambiamento. Mi fa i suoi migliori auguri, sentiti e sinceri. Li accolgo e lo ringrazio. Gli chiedo se posso scrivere della casualità del nostro incontro, che sarebbe piacevole condividerlo, se accetta lo proporrò al Festival. Accoglie a sua volta e mi ringrazia. 

Ne approfitto per tornare al libro, in realtà per buttare giù qualche appunto e non perdere nulla o quasi. Lui si sdraia, tira fuori dalla borsa una radiolina anni ’90 da cui parte un jack, un filo, due cuffie agli estremi e si immerge nella sua amata musica. Io sorrido compiaciuta, ho trovato un po’ d’aria e una storia, quella che state leggendo.

di Erica Bocchetti
Editor e redattrice editoriale
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Immagine di Andrea Rotili

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